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GROENLANDIA
​Un viaggio unico, straordinario, difficile ma indimenticabile: andiamo nella Groenlandia più remota, nella mitica Thule. È il mio fiore all'occhiello: nessun operatore organizza il viaggio, troppo difficile, troppo estremo. Una spedizione con i cani da slitta e con i cacciatori Inuit, immersi nella natura severa che non ammette errori, mettendo la propria vita nelle mani di pochi uomini (quelli con la U maiuscola) e dei cani, da cui dipende quasi tutto. Otto mesi spesi a preparare il viaggio con mille difficoltà e poi la soddisfazione della partenza e di vedere poi la bandierina dell'Italia sul mappamondo che a Thule registra poche presenze da tutto il mondo. La mitica Thule è diventata leggenda ma lo era già all'epoca dei geografi greci e di Virgilio, portata alla ribalta dall'esploratore groenlandese Rasmussen, durante gli anni 1912-1933 spesi in quelle che passarono alla storia come le grandi spedizioni dell'ultima Thule. E come lui anche noi ci siamo sentiti al limite del mondo, in un luogo dove gli approvvigionamenti arrivano due volte all'anno via mare, praticamente lontano da tutto e da tutti, dove l'uomo e la sua sopravvivenza è legata inesorabilmente ai cani. Un viaggio nel silenzio, dove gli unici rumori che ti accompagnano sono quelli della slitta che scivola sul ghiaccio, la voce del cacciatore che impone ai suoi cani ordine e direzione e i loro latrati. Si vive la natura selvaggia come in nessun altro luogo: il vento sibila nelle orecchie, tenta di congelarti tutto quello che non è coperto, una lotta continua a cui noi non siamo abituati, così come non lo siamo, ma si impara in fretta, a riconoscere il ghiaccio di mare da quello di acqua dolce, indispensabile per bere e per mangiare. I paesaggi sono immensi, incredibilmente emozionanti: iceberg intrappolati nei fiordi, le onde del mare ghiacciate in un'apparente immutabilità, grotte di ghiaccio azzurre, fronti di ghiacciai che arrivano a lambire il fiordo immobile. Tutto sembra paralizzato da un fatale incantesimo, ma poi se guardi con più attenzione ti rendi conto che la vita c'è e continua. Una sfida da cui impari la sopravvivenza: uccelli, narvali, volpi, pesci e foche sono in lotta per la vita in una catena alimentare che l'uomo ha sapientemente mantenuto con rispetto. Ed è con rispetto che va a caccia: è stata la prima volta in vita mia che ho tifato per la squadra di Inuit durante la caccia alla foca, perchè ti rendi conto che qui non è nè uno sport nè un gioco: qui è in gioco la vita di una comunità, regolata da leggi ferree, che rispettano con onore. Ed è proprio con onore che una foca perde la vita, in un equilibrio in cui uomo, animali e natura vivono in simbiosi; ci si rende conto che non potrebbe essere altrimenti. Tutte le azioni normali della nostra vita quotidiana qui acquisiscono un'importanza diversa: bere, mangiare, dormire, espletare i propri bisogni corporali, nulla è scontato e nulla deve essere lasciato al caso, perché non sono ammessi errori. Per un attimo di distrazione umana ho visto sette dei miei cani finire in un crepaccio: potevamo tirarli fuori solamente io e il mio cacciatore e dovevamo fare in fretta, prima che congelassero. Non importa se sei italiana o donna, in quel momento sei solo una persona in pericolo che deve agire in fretta. Psicologicamente è una prova e non da poco: non ci porterei chiunque in un viaggio come questo, ma è un'esperienza che lascia il segno, nei meandri profondi della mente. Chi ha avuto la fortuna di vivere questa esperienza con me l'ha definito il più bel viaggio della sua vita, ma era ben consapevole alla partenza che non vi erano certezze. Gli Inuit non parlano inglese e dopo i primi momenti ti rendi conto che due esseri umani possono dialogare anche solo con gli occhi, anche in due lingue diverse o con i gesti ma alla fine ci si capisce: bisogna immedesimarsi nella vita dell'altro, abbandonando le fittizie maschere sociali e culturali. In questo modo riesci a comunicare anche con un'anziana che si è spinta lontano da casa per pescare, facendo il buco nel ghiaccio che abbiamo spesso visto nei cartoni animati, quando eravamo bambini. Riesci a capire la tristezza di un uomo che ha perso il suo cane durante un inverno particolarmente rigido, riesci ad apprezzare un'umanità che nel nostro mondo non è più una caratteristica comune. Quando i bagagli sono pronti per tornare a casa ti assale una nostalgia che non ti abbandona, e l'unica cosa che ti viene da pensare è “Tornerò, perché qui mi sono sentita viva!”.
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